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Da un post su Facebook dell’interprete e traduttore turco Aktan Aydogmus.
« La mia esperienza più difficile con la traduzione: »
«Dovevo tradurre un report annuale di 400 pagine per una multinazionale del settore petrolifero. La mia traduzione sarebbe servita per una presentazione al meeting aziendale del lunedì successivo. Avevo una settimana a disposizione, quindi non c’era nessun problema. Ho tenuto per me una parte del lavoro e ho equamente ripartito la restante parte del progetto tra sei colleghi: 40-50 pagine ciascuno. Tuttavia, la domenica sera ho ricevuto solamente quattro sezioni tradotte. Gli altri traduttori che non avevano consegnato mi hanno scritto giustificandosi con varie scuse, come un’interruzione di corrente, un figlio che hanno dovuto portare in ospedale perché si era sentito male, ecc.
Dunque eccomi lì, davanti a 80 pagine che dovevano ancora essere tradotte. Avevo solo la domenica sera per finire il progetto. Non potevo assolutamente riuscirci da solo, quindi ho dovuto di nuovo trovare tre o quattro colleghi, offrire loro il doppio della paga per convincerli a mettersi al lavoro immediatamente. Anche io ho fatto la mia parte e ho lavorato tutta la notte. Alle otto di mattina ho ricevuto le parti mancanti e le ho aggiunte al file complessivo, facendolo scorrere con l’opzione “trova e sostituisci” per assicurarmi che una trentina di tecnicismi del settore petrolifero fossero tradotti in modo coerente, infine ho messo su il dossier definitivo. Ho consegnato il file e sono collassato. Penso di avere avuto un esaurimento nervoso, forse anche un principio di infarto, mentre ultimavo il lavoro. Sentivo che qualcosa non andava bene a livello del cuore, dopo quel progetto.
Dopo quel lavoro, non ho mai più accettato progetti voluminosi da ristribuire tra colleghi, anzi, non ho più ripartito il lavoro con altri e non ho mai più lavorato con scadenze fissate dai clienti. Ho imparato la lezione: ho iniziato a lavorare come interprete a tempo pieno invece di tradurre testi e documenti. Morale della favola: non vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso».
« Perché preferisco l’interpretazione alla traduzione? »
«L’interpretazione mi dà modo di muovermi. Mi permette di viaggiare per raggiungere il luogo dove si tiene la conferenza o la riunione. Quando lavoravo come traduttore, restavo seduto su una sedia per ore e ore, a volte anche per giorni o settimane. Trafugavo dolci e barrette di cioccolata dal frigo. Probabilmente i miei livelli di glicemia erano in continua fluttuazione. Quando ho iniziato a muovermi, la poltrona da ufficio e lo studio che mi ero organizzato in casa mi sono sembrati una prigione. Uscire dal circolo vizioso è stato per me come fuggire di prigione. Ero seduto a lavorare da solo a casa tutto il tempo ed ero diventato anche abbastanza asociale. Temevo la gente e mi infastidiva la folla sui mezzi pubblici, nei centri commerciali, nei cinema, nelle sale da concerto, ecc.
Da quando ho iniziato a lavorare come interprete, il mio nome e le mie capacità sono diventati noti grazie al passaparola. Sono riuscito a svolgere l’incarico di interprete per politici di alto livello, membri del parlamento, per i servizi pubblici, giudiziari, di polizia, per ogni tipo di seminario e laboratorio a cui fosse presente un pubblico internazionale. Ho partecipato a viaggi all’interno del mio paese e all’estero. Sono arrivato fino in Cina e in diversi paesi africani, oltre che europei. Dopo diversi anni di interpretazione consecutiva, sono entrato nel mondo dell’interpretazione simultanea con il prezioso aiuto del mio collega Cem Şensoy. Perciò, con questa abbondanza di lavoro da interprete, non c’era più tempo né bisogno di sedersi a tradurre testi. Ero sempre in giro. L’onorario di un interprete era cinque volte più alto di quello di un traduttore. Inoltre, in termini di tempo, l’interpretazione mi richiedeva un quinto del tempo rispetto alla traduzione. Ho incontrato molti esperti, scienziati, accademici, celebrità, personaggi politici e ho avuto l’opportunità di porre loro molte domande prima, durante e dopo le sessioni di interpretazione.
Capitano opportunità del genere quando si lavora nella traduzione di testi da casa o in ufficio? Quasi mai. Tutto è cambiato, chiaramente, con l’emergenza della pandemia. Ora sono abbastanza fermo e lavoro soprattutto tramite Zoom o altri strumenti per l’interpretazione da remoto. Attendo che il coronavirus e le restrizioni sugli spostamenti siano debellati. In sintesi, questa è stata la mia transizione dalla traduzione all’interpretariato. La considero come un biglietto di sola andata. Spero di non dover mai comprare un biglietto di ritorno».
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Articolo di: Aktan Aydogmus, Interprete e Traduttore