Letture da Cuba per ispanisti: Cecilia Valdés di Cirilo Villaverde

Capolavoro della letteratura ispanoamericana

Cecilia Valdés o La Loma del Angel, riconosciuto capolavoro della letteratura ispanoamericana ottocentesca, è opera di Cirilo Villaverde, scrittore e giornalista cubano, profondamente impegnato nella lotta per l’indipendenza dell’isola dalla dominazione spagnola.

Questo romanzo, attraverso la narrazione di complesse vicende e relazioni familiari, sociali, sentimentali, sessuali, fornisce un vivo ritratto delle condizioni di vita e delle interazioni tra le classi sociali, fornendo un quadro e un documento storico indimenticabile.     

Senza mai indulgere nel torbido o nel morboso, l’autore ci racconta con la semplicità dell’ovvio e del quotidiano, con il tono del normale e del giusto, un’orrida realtà  di poco più di un secolo addietro, che al lettore attuale sembra impossibile.

Letteratura cubana

Le vicende si svolgono a Cuba, in parte all’Havana, in parte nelle estese piantagioni di canna da zucchero e di caffè, permettendo di spaziare con lo sguardo dalle condizioni di vita in città a quelle nei campi.

Gli spagnoli posseggono terre, palazzi, schiavi, senza limiti nei loro poteri. Alcuni provengono dalla Spagna, altri, i creoli, sono nati sul luogo. Intorno vi è una moltitudine di neri, neri rapiti in Africa e condotti, con viaggi spesso mortali, ad una vita di schiavitù, neri schiavi da generazioni, neri che a caro prezzo hanno acquistato la loro libertà, ma permangono in uno stato di duro assoggettamento e discriminazione e infine mulatti, frutto di misconosciute relazioni tra spagnoli e neri.

Spagna e America Latina

Per gli spagnoli, sicuri nella loro supremazia, i neri non posseggono un’anima, eppure  è un bene che vengano presi dalle loro terre africane, perché si dà loro una religione. È giusto punirli con frustate e torture, perché non hanno capacità di capire; vanno trattati male, perché sono per natura infidi e malvagi. Se vi è una relazione sessuale con una nera o una mulatta, questa rimane una relazione di sudditanza e promesse di elevazione sociale o di matrimonio sono solo strumentali al mantenimento di una buona relazione, ma ben lungi dal dover essere mantenute e rispettate.

Così è naturale che una signora, stimata per la sua gentilezza e bontà, infierisca anche per tutta la vita su una schiava, colpevole di aver cercato di nutrire la propria figlia oltre alla figlia della padrona, che il rumore delle frustate non disturbi il suo sonno, che la morte a seguito di una punizione sia un evento previsto per uno schiavo, anche se non preferito, poiché rappresenta un danno economico.

Schiavitù a Cuba

Non vi è comprensione, non vi è compassione, non esiste empatia. Le quotidiane interazioni tra i pochi bianchi privilegiati e i neri e mulatti (di ogni sfumatura di colore, più apprezzato quanto più chiaro), mostrano quanto sia scontato tutto questo, senza ricadute sul senso morale o religioso di chi sa di essere nel giusto, sì che si discosta stranamente dalla norma chi, come Isabel Ilincheta, si mostra gentile verso i “suoi” neri. Non è in discussione, comunque, che siano i suoi neri e restino schiavi, desta solo meraviglia che vengano trattati con benevolenza. In tutto questo si inscrive la storia di Cecilia, mulatta dalla pelle così chiara da sembrare bianca, bellissima, frutto di una storia che si ripete, cioè illegittima figlia di illegittima, che ritiene di essere amata dal figlio del proprietario di una ricca piantagione e di navi negriere, viziato e galante, che non esita a preparare intanto le proprie nozze con Isabel, bianca e di buona famiglia. Si dipana così all’interno del dramma sociale e razziale, e da questo condizionato, il dramma personale della bella Cecilia con le sue aspettative, i suoi sogni, le sue gelosie, le sue umiliazioni, le sue vendette.

Articolo di Lilia Carmen Natilla, Psichiatra e Docente di Psichiatria e Psicologia presso il Policlinico di Bari. Immagine da FreePik.