David, Accent Coach, ci spiega i segreti di voce e accento

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L’Accent Coach David è intervenuto su Facebook in risposta al quesito: un italiano, nell’apprendere l’inglese, può perdere l’accento?

Pubblico qui la sua risposta davvero interessante:

Ci tengo a sottolineare la differenza tra “possibilità” e “probabilità”, o meglio, tra l’aspetto prettamente linguistico (ideatorio-motorio o fonetico-articolatorio) e quello comportamentale. Un apprendente di una L2 neuroanatomicamente funzionale (ovvero senza problemi otologici o in altri distretti anatomici legati alla fonazione e articolazione) è fisiologicamente in grado di emettere una catena fonica in modo del tutto sovrapponibile a quella di un parlante nativo, a patto che:

  1. Gli venga detto specificamente ed esattamente a cosa prestare attenzione, a livello di fonemi (e tratti distintivi), fenomeni di coarticolazione, tratti intersegmentali, intonazione, ortologia.
  2. Abbia la capacità/volontà/pazienza di ascoltare, imparare a percepire ciò che – per via della sua L1 – passa inosservato o sembra irrilevante, e riprodurre. Tale capacità è di tipo acustico-motorio, nel senso che si tratta di una competenza di selezione nell’ascolto ma anche di controllo motorio degli articolatori.

Dunque, lo studente della L2 che lavori con un madrelingua “che ne sa di fonetica” e che abbia la motivazione e un minimo di capacità percettivo-articolatoria, con l’aiuto di un costante feedback multisensoriale (visivo, acustico e cinestetico) può riprodurre esattamente un accento “nativo” della L1. Altra cosa, però, è possedere un tale accento nell’eloquio spontaneo. Lì la questione è ben più complessa, in quanto la “forza” delle prassie (schemi motori) consolidati in anni ed anni di eloquio in L1, nonché la sedimentazione del sistema linguistico a livello cerebrale (nell’area di Wernicke e annessi, per i neurolinguisti) rende molto difficile “scardinare” i modelli soggiacenti.

Difficile, certamente… Ma non impossibile. Il discorso della “finestra temporale” (secondo cui l’apprendimento “native-like” è possibile solo al di sotto di n anni di vita) ha un suo senso certamente, ma esso non preclude l’acquisizione di un accento “perfetto”… Almeno sulla carta. Basta solo volerlo, sapere come fare (e sui meccanismi di apprendimento della L2 non sappiamo tantissimo…) e avere qualcuno con cui lavorare che sappia il fatto suo.

È vero anche che – ad un certo punto della vita – uno si chiede anche il “perché” delle proprie scelte. E – a meno che non si tratti di attori che studiano per un ruolo (esistono infatti i dialect coach/accent coach, fra cui chi scrive…) – bisogna chiedersi per quale motivo si dovrebbero investire così tanto tempo ed energie nel tentativo di raggiungere un risultato molto arduo ma… poco utile. L’intelleggibilità (data da una buona pronuncia) è – mi sembra – uno scopo più sensato.

Ringrazio David per il suo post illuminante. Per maggiori informazioni, visita il suo sito Dynamical Voice.

Foto di copertina da FreePik.